33° America’s Cup, il commento di Vincenzo Onorato: “Coppa America, un evento da salvare”

di Redazione 167 views0

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“Ho ricevuto numerosi solleciti per un mio intervento anche alla luce della sentenza della Corte Suprema di New York. In questi ultimi anni credo di essere stato abbastanza parsimonioso nel commentare le travagliate vicende della Coppa. Avrete notato che ho scritto Coppa con la “c” maiuscola e questo vi deve far intendere il rispetto e la passione che nutro per lo sport della vela e per la Coppa America in particolare”.

“Siamo certamente in acque più che agitate ed è quindi necessario rilevare la propria posizione prima di tracciare la rotta. Tutto il problema nasce dal protocollo redatto da Alinghi per la XXXIIIma edizione presentato al termine delle regate di Valencia, nel luglio 2007. Questa affermazione sembra di una banalità esiziale ma, con il trascorrere dei mesi, mi sono sempre più convinto che sono veramente pochi, anche fra i giornalisti “specializzati”, quelli che ne hanno letto integralmente il testo. Chi lo ha fatto con un minimo di attenzione se provvisto di senso dell’humor, non potrà non aver sorriso perché ci si è trovati di fronte ad un testo, che pur avrebbe dovuto regolare una competizione, nel quale il senso della sportività è totalmente assente.

Alinghi si arrogava il diritto di scegliere a suo insindacabile giudizio i giudici di regata, il comitato, gli umpires e gli stazzatori, di volerli addirittura come suoi dipendenti. In sintesi di dettare unilateralmente le regole del gioco. Alinghi, sempre a suo insindacabile giudizio, si arrogava il diritto di accettare una sfida o di penalizzare un concorrente.

Vi è stato chi aveva colto tutto questo subito: se ne sono accorti sette team che, pochi giorni dopo la presentazione del protocollo, hanno sottoscritto una lettera di contestazione (Oracle, Mascalzone Latino, Team New Zealand, Germany, Victory, K-Challenge e Luna Rossa). E se ne era accorto anche lo storico sponsor delle challenger selection series, Louis Vuitton che, con un comunicato, il 13 luglio 2007 aveva annunciato il suo ritiro motivato proprio dal fatto di non condividere l’impostazione della XXXIIIma edizione.

A sottolineare il totale disprezzo del rispetto del ruolo di “fiduciario” sancito dal Deed of gift (il documento da cui trae origine l’impianto normativo dell’evento) Alinghi aveva eletto a “Challenger of record” il Club Náutico Espanol de Vela, uno yacht club inesistente, senza storia nè soci, uno “sleeping partner” che avrebbe dovuto consentire un totale ed incondizionato dominio sulla manifestazione.

L’apparato di Alinghi ha ben lavorato, all’indomani del ricorso di Oracle alla Corte Suprema di New York, nel gridare allo scandalo e nel presentarsi al mondo intero da povera vittima che era stata attaccata dall’orso americano che aveva bloccato, di fatto, l’evento, trascinandolo in tribunale. E’ bene sfatare ogni e qualsiasi nebbia a riguardo: la Coppa in tribunale è stata, di fatto, portata da Alinghi, con il suo protocollo infamante per lo sport. Il ricorso di Oracle va considerato una coraggiosa operazione di salvataggio del più antico trofeo sportivo che la storia ricordi. E’ per questo che noi di Mascalzone Latino lo abbiamo appoggiato con il nostro “amicus brief”, presso la Corte Suprema di New York.

La difesa mediatica di Alinghi è stata quella di dire che gli altri challenger, incluso Team New Zealand, avevano di buon grado accettato il protocollo. Oggi, dopo la denuncia di Team New Zealand, viene alla luce quello che già tutti noi sapevamo: Alinghi ha sfruttato la posizione di estrema debolezza economica della maggior parte dei team per soggiogarli al suo potere. A Team New Zealand aveva promesso denaro, gli aveva risparmiato la tassa d’iscrizione e gli aveva addirittura opzionato la base di Oracle a Valencia!

In sintesi il piano di Alinghi era quello di governare la Coppa ed i suoi sfidanti in modo di garantire alla sua creatura, l’A.C.M. (America’s Cup Management) il totale controllo economico dell’evento. A nulla valgono, a questo proposito, i commenti laconici di Alinghi che ricordano come, in passato, sono stati gli americani a creare la cultura del privilegio del difensore. Le azioni dei defender americani erano puerili tentativi rispetto all’articolata trama tessuta da Alinghi. Ma non solo: gli americani del New York Yacht Club, ricordiamolo, erano mossi esclusivamente dal profondo orgoglio e privilegio di detenere la Coppa negli U.S.A e non per volgari motivazioni economiche!

E veniamo al secondo aspetto della vicenda, quello economico e commerciale. Sono dell’avviso che il danaro degli sponsor deve servire per finanziare l’evento. Tengo separato il mio lavoro, che mi dà da vivere, dalla vela e credo che anche gli altri imprenditori a capo dei sindacati possano fare altrettanto. Perciò non condivido l’avidità di Alinghi, a cui purtroppo non è neppure sottesa una strategia commerciale intelligente. Un particolare è sfuggito a molti: Louis Vuitton si è chiamata fuori dalla Coppa prima e non dopo, la causa di Oracle presso la Corte Suprema di New York. Quando si pensa alla Coppa America, si pensa automaticamente alla Louis Vuitton Cup. Un binomio inscindibile che sposa non solo tradizione ma anche, al tempo stesso, classe e cultura.

Si sono chiamati fuori, sono andati via, in punta di piedi, con la signorilità che distingue gli uomini e le donne della casa francese. Avendo avuto il piacere di conoscerli, so quanto dolore deve essere costato abbandonare un evento, la selezione dello sfidante ufficiale, a cui solo loro e nessuna altra firma sono riusciti ad imprimere un’identità così profonda. Incompatibilità con la visione del Sig. Bertarelli, questo è il senso dei loro laconici commenti. Perdere Louis Vuitton è un’ulteriore prova della totale assenza di cultura e di rispetto delle tradizioni che il vertice di Alinghi ha dimostrato nella gestione di questo evento.

Una carenza paradossalmente intellettuale e senza precedenti nella storia della Coppa. E, come se non bastasse, un irrimediabile errore di marketing: la Coppa oggi è una enorme industria finanziata da grandi sponsor e pochi tycoon. Un enorme volano economico trascinato, nella sua forza mediatica, da fascino, glamour e tradizione. Perdere Vuitton ha significato creare la cultura del sospetto negli sponsor e la Coppa in tribunale, a causa di Alinghi, ha significato bloccare, di fatto, l’enorme volano.

Torniamo alla storia ed al lavoro che ho fatto in questi ultimi mesi da quando è finita la Coppa. Ho trascorso l’intera estate 2007 nel vano tentativo di arrivare ad una mediazione fra Oracle e Alinghi. Sapevo che il metodo scientifico per far fuggire tutti gli sponsor era quello di avere la Coppa in tribunale e volevo evitarlo. Ho avviato i contatti con Oracle per uno scambio di pareri sulla vicenda. Al contrario di quello che è stato dichiarato da Alinghi ho trovato Russell Coutts estremamente disponibile al dialogo. La principale motivazione di Oracle era – ed è – la stessa di Mascalzone Latino: avere una competizione onesta ed affidabile.

Allora ho redatto un protocollo che prevedeva grosso modo le stesse regole che avevano guidato la trentaduesima edizione, prevedendo ancora l’utilizzo delle barche dell’ultima edizione, per contenere i costi, e rinviando l’utilizzo delle nuove (classe A.C.90) all’edizione seguente. Nel frattempo i challenger avrebbero, di comune accordo, redatto le nuove regole di classe, non consentendo così sproporzionati vantaggi al difensore. Ottenni così da Oracle – non senza, devo confessarlo, grande soddisfazione personale – un’informale garanzia che, qualora la mia proposta di protocollo fosse stata accettata da Alinghi, loro avrebbero immediatamente ritirato il ricorso presso la Corte Suprema di New York. La Coppa sarebbe stata salvata, così come la data dell’evento e gli interessi economici della città di Valencia. Allora ho presentato il protocollo ad Alinghi, che non ha avuto neppure l’educazione di rispondermi con un “no grazie, non siamo interessati.”

L’autunno ha visto poi un Oracle, fin troppo disponibile alla mediazione con Alinghi, accettare quasi tutto quello dettato nel tanto discusso protocollo, ricevendo sempre uno sprezzante diniego. Noi di Mascalzone Latino, allora, pur non essendo parte in causa, ci siamo esposti, abbiamo presentato alla Corte Suprema di New York un documento in cui riassumevamo la nostra opinione: in sintesi che il protocollo di Alinghi aveva stravolto i principi cardine del Deed of Gift e quelli universali della più semplice sportività.

In quel caldo autunno ho avuto anche sentore che si stava preparando una sfida italiana semplicemente per escluderci definitivamente dalla Coppa. Alinghi aveva dichiarato che probabilmente avrebbe accettato una sola sfida nazionale. Così abbiamo lanciato la nostra sfida seguendo i dettami stabiliti dal loro protocollo. Abbiamo anche dovuto dimostrare l’esistenza del Reale Yacht Club Canottieri Savoia, alla sua terza sfida in Coppa America e con una storia alle spalle di cento anni! Alinghi era stato un po’ meno fiscale con il suo Challenger of record, il Club Náutico Espanol de Vela che vantava ben qualche ora di vita…

Ho dato atto, sin dal principio di questa mia lettera, ad Alinghi che la vicenda ha una sua comicità di fondo, malgrado da loro non voluta. A seguito del lancio della sfida l’A.C.M. ci invia una fattura di cinquantamila euro che paghiamo subito, forse gli unici fino ad ora ad averlo fatto? E ci viene risposto per iscritto che accetteranno la nostra sfida solo quando ritireremo la nostra dichiarazione presso la Corte Suprema di New York.

Tutto questo non è richiesto dal protocollo, ma ci è anche chiaro che Alinghi fa e disfa le regole a suo piacimento. Io ribadisco ricordando che un cittadino accetta le leggi anche se non le condivide e che nei regimi democratici esiste libertà di parola e di critica. La semplice metafora non viene compresa. L’A.C.M./Alinghi ribadisce e pretende una nostra pubblica abiura. A nulla sarebbe valso ricordare loro che l’ultimo mio conterraneo, a cui è stata chiesta una ritrattazione così forte, è stato Giordano Bruno ai tempi del Medioevo e della Santa Inquisizione…

Tutto questo rappresenta una dura premessa che pesa sul futuro della Coppa ma niente più ironia, dobbiamo prendere seriamente coscienza che questa manifestazione è stata seriamente compromessa da Alinghi. Sono spariti gli sponsor, il pubblico è stanco di tutte queste polemiche. La soluzione oggi migliore è che si faccia presto questa sfida con i catamarani fra Oracle ed Alinghi anche se, ancora una volta, questi ultimi cercano di ritardare in tutti i modi l’evento.

L’augurio, per la sopravvivenza della Coppa America, è che vinca Oracle, dopo di che bisognerà rimboccarsi le maniche e lavorare duramente. Il primo passo, a mio modesto avviso, deve essere il recupero di Louis Vuitton. La casa francese non è solo uno sponsor, lo Sponsor, ma è anche e soprattutto il filo conduttore di una storia che viene dal passato e che con lei è diventata moderna e che con lei deve proseguire. Si può pensare di salvare l’evento, di tornare in campo nel 2009 o nel 2010 ma, per far questo, bisogna che si prenda atto della debolezza della manifestazione.

Sarebbe auspicabile utilizzare ancora le barche dell’ultima edizione per tre buoni motivi:

• Contenere i costi in un momento in cui i team lottano per sopravvivere. Dovrebbe poter essere consentito costruire una sola barca dell’ultima generazione.

• La flotta esistente consentirebbe di avere un evento a tempi brevi, senza grandi sforzi economici ed organizzativi e lascerebbe il tempo utile per studiare la nuova classe A.C.90 per la trentacinquesima edizione.

• Last but not least, l’aspetto sportivo: chi è velista sa che le regate sono belle quando sono “tirate”. Le barche dell’ultima edizione avevano velocità molto simili e la cosa più bella dell’ultima edizione è stata quella che abbiamo assistito a delle regate combattute e spettacolari, vogliamo rinunciarci?

Io personalmente sto facendo dei grossi sacrifici economici personali per tenere in piedi un’organizzazione che ci consenta di correre la prossima Coppa America con dignità e sportività. Sono profondamente addolorato per quello che è successo a questo evento, ma sono un marinaio e nella mia vita di velista ci sono anche e soprattutto il Farr 40 , il M 30, l’ R.C. 44 e ora anche il Melges 32. Molti hanno perso il senso del divertimento dell’andare in barca a vela – o forse non l’hanno mai avuto? – ecco, secondo me bisognerebbe ripartire da quello…”

Vincenzo Onorato

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